martedì 28 aprile 2009

à mon seul désir

Il Gusto


La Vista


Il Tatto


L'Olfatto


L'Udito


Il mio unico desiderio


Adoro le narrazioni in cui la storia si fonde con la fantasia. In realtà mi appassionano un pò tutte le commistioni tra i generi, ma, in particolare, sono fatalmente attratta dai romanzi intessuti intorno a un'opera d'arte o da quelli la cui trama si snoda, comunque, in contesti storico-artistici.

Alcune opere, per il fascino e l'aura di mistero che emanano, si prestano particolarmente ad essere interpretate in chiave romanzesca. Proprio come il ciclo di arazzi fiamminghi dal titolo



Gli arazzi, oggi conservati al Musée du Cluny a Parigi, risalgono alla fine del XV secolo e sono tessuti in lana e seta secondo la tecnica chiamata "millefleurs". Al centro di ogni composizione, compaiono immancabilmente la dama, l'unicorno, e un leone. Non solo la storia della loro realizzazione è avvolta nel mistero, ma trattano anche un tema molto insolito per degli arazzi (di norma, vengono descritte scene di battaglia o di caccia), dalla simbologia alquanto enigmatica. Ogni pannello porta il titolo di uno dei cinque sensi, il sesto (ma potrebbe, in realtà, anche essere il primo), è stato chiamato "A' mon seul désir", per via della scritta che appare, leggibilissima, sulla tenda alle spalle della dama. E il suo significato risulta indecifrabile...

Tracy Chevalier, abilissima nel creare storie avvincenti fantasticando sulla possibile genesi di un'opera d'arte, "svela" a modo suo i segreti che si celano dietro a questo capolavoro. In questo genere di romanzo è forse la mia autrice preferita, perchè unisce alla grazia narrativa, approfondite conoscenze storiche. Nei suoi racconti si attiene scrupolosamente agli usi e costumi dell'epoca, ricostruendone minuziosamente il quotidiano ed anche soffermandosi sui dettagli rigorosamente tecnici delle procedure seguite o per la preparazione e l'impasto del colore (vedi "La ragazza con l'orecchino di perla"), o della tessitura. Tutto questo, senza minimamente perdere di vista i ritratti dei suoi personaggi, che emergono, più realistici e affascinanti che mai, in tutte le loro sfaccettature psicologiche, proprio come Nicolas des Innocents, l'immaginario disegnatore degli arazzi, donnaiolo impenitente, alle prese con la sua manovalanza, gli artigiani tessitori di Bruxelles e, soprattutto, con le bellissime dame che lo hanno ispirato...

puccini e il lago...







(siete pregati di cliccare su questa foto!)


"Gaudio supremo, paradiso, eden, empireo, «turris eburnea», «vas spirituale», reggia... abitanti 120, 12 case. Paese tranquillo, con macchie splendide fino al mare, popolate di daini, cignali, lepri, conigli, fagiani, beccacce, merli, fringuelli e passere. Padule immenso. Tramonti lussuruosi e straordinari. Aria maccherona d'estate, splendida di primavera e di autunno. Vento dominante, di estate il maestrale, d'inverno il grecale o il libeccio. Oltre i 120 abitanti sopradetti, i canali navigabili e le troglodite capanne di falasco, ci sono diverse folaghe, fischioni, tuffetti e mestoloni, certo più intelligenti degli abitanti, perché difficili ad accostarsi. Dicono che nella Pineta "bagoli" anche un animale raro, chiamato «Antilisca»..."

(Giacomo Puccini - Lucca ,1858 - Bruxelles ,1924)

Non è difficile comprendere come Puccini trovasse in questo posto la massima ispirazione. Sulle rive del lago, dove costruì il suo rifugio, ha concepito le più indimenticabili delle sue opere (il link è per chi ama la Callas). Affetto da "torrelaghite acuta", come lui stesso si dichiarava, non riusciva a distaccarsi da questi luoghi per troppo tempo, e qui, nella cappella della sua villa, fu sepolto.

Fu lui a concepire il desiderio che in riva al lago, un giorno, rieccheggiassero le note delle sue composizioni. E così è stato. Di tanto in tanto, gli "acuti" delle oche e delle anatre si mischiano a quelli degli interpreti, ma se le emozioni sono tanto intense è proprio grazie al magico connubio della musica con lo scenario incantato, l'atmosfera e i rumori del lago...

P.S. le foto le ho scattate io e mi stupisco di come possano essere venute così bene (a parte qualche "macchiolina" che suppongo essere conseguenza dell'obbiettivo non proprio pulito). A me sembrano cartoline. In particolare, mi colpiscono le barche, che danno l'impressione di essere state aggiunte successivamente, o meglio, dipinte.








lunedì 27 aprile 2009

Quella volta che, di ritorno dalla mia prima lezione universitaria, dopo aver armeggiato freneticamente per due o tre minuti,

non riuscii ad aprire la porta del treno.

Posi fine alla mia lotta disperata nel momento in cui il convoglio riprese inesorabilmente la sua marcia...ed io con lui. Mi toccò scendere alla stazione successiva, dopo essermi accuratamente nascosta, per tutta la durata della ridondante corsa, agli occhi delle mie compagne di viaggio. Valse a poco. Anzi, fu peggio. Visto che me le ritrovai davanti al momento del mio insensato arrivo.
Quel pomeriggio stesso, feci l'abbonamento all'autobus. Coi treni, decisi, avevo chiuso.

Chi avrebbe potuto immaginare che, un giorno, non solo avrei vinto la fobia, ma del viaggiare in treno sarei addirittura divenuta veterana? Per le giuste cause si fa tutto. Si sa. Ma ancora oggi, quando mi accingo alla discesa, fisso la porta con inquietudine e mi percorre un fremito, mentre ansiosamente penso
si aprirà?

domenica 26 aprile 2009

idillio mancato


Fino a quel momento la conoscevo solo di fama. Non è da tutti suicidarsi infilando la testa in un forno. Ci vuole della creatività, della fantasia!
Un romanzo che, in una dimensione più onirica che realistica, più poetica che prosaica, ne narra gli ultimi mesi di vita, evidenziandone il talento e la sensibilità, l'intelligenza penetrante e la fragilità emotiva, mi fu regalato anni fa per il mio compleanno (noto solo adesso la coincidenza... "Un regalo di compleanno") mi indusse a presagire la nascita di un "grande amore". La sua tormentata passione per Ted Hughes, poeta lui stesso, mi faceva sognare, mi richiamava alla mente quella che unì Sibilla Aleramo a Dino Campana. Il finale tragico, con lui che l'abbandona per un'altra, precipitandola in un baratro da cui mai più riemergerà, alimentava il pathos. Insomma, c'erano tutti gli ingredienti giusti...E invece...dopo reiterati tentativi, delusa, frustrata, amareggiata, mi sono arresa all'evidenza:


IO... Sylvia Plath non la capisco.

metamorfosi

Un anno fa, lo detestavo. Ma è normale. Non sopporto gli scorbutici e i musoni. Dovevo salutarlo io per per prima e per risposta, invece di un buongiorno, udivo una sorta di grugnito. Un sorriso, poi... ma quanto costa?
Ma che c'ha questo? mi chiedevo. "E' arido? Asociale? Disadattato? Diffidente? Anafettivo? Semplicemente zotico?". Eppure, ho continuato ad essere me stessa.
Quest'anno, il miracolo è compiuto. Ride, scherza, interloquisce. Si interessa ai miei interessi. Mi ascolta con occhietti vispi e divertiti! Siamo AMICI! Si è dovuto arrendere, alla fine. Si è piegato al mio entusiasmo. Nulla ha potuto!
Allora, vedi...non sbagliavo. Dietro alla scorza dura, l'anima c'era. Bastava non demordere, bastava contagiarlo. Sarò anche strana, ma questa, mi dico,
è una conquista.

sabato 25 aprile 2009

tracce


Non più appagata dall'ordine apparente, ho deciso di conquistarmelo alla fonte. Affrontando con piglio deciso i miei caotici armadi. Ma mi son persa quasi subito. Incapace di riorganizzare la distribuzione del "superfluo", ho realizzato che le mie possibilità di riuscita erano subordinate al sacrificio del superfluo stesso. E ho rinunciato. Anzi, in quel caos mi sono immersa e me ne son saziata.
Ne sono riaffiorati i più disparati oggetti... Indumenti creduti ormai smarriti, dimenticati in qualche albergo sparso per il mondo. Cinture, rossetti, deodoranti, calze, ed altri effetti personali, raccolti alla rinfusa in buste di plastica e borsette di fortuna, indolentemente mai svuotate al ritorno dai numerosi viaggi.
Il tripudio del cartaceo, però, è sconvolgente.
Biglietti di treni, metro, aerei, cinema, teatri...e ancora: ringraziamenti, auguri, esternazioni di affetto, e amore, frasi da me stessa annotate frettolosamente, nel tentativo di fermare le emozioni di un istante. E poi... diari, foto, cartoline... oltre a fiori essiccati e foglie. Si potrebbe obiettare che i ricordi sono indipendenti dalle cose. Sopravvivono indelebili nel cuore. E' il nostro stesso "io" ad esserne permeato. Ma, invece, la fugacità di certi attimi e incontri, fà sì che, se non ci fossero due righe o un qualsiasi oggetto a testimoniarcene il passaggio, tutto si disperderebbe. Quante volte le nostre vite si sono incrociate con quelle di persone che già sapevamo destinate ad uscirne dopo un solo un istante? E' proprio ritrovandone le tracce, che i ricordi emergono ed acquistano un valore e ci arricchiscono. Talvolta, così prostrata, delusa, amareggiata, nel notare intorno a me superficialità, indifferenza, vacuità, se anche solo per un attimo qualcuno mi colpisce e mi conquista, voglio trattenerne qualcosa PER SEMPRE e farlo mio, assorbirne le pulsioni positive, e ritrovare un giorno insieme a lui...

quel frammento di me che ha catturato.

giovedì 23 aprile 2009

spesso mi sento proprio così...



(non prendetemi, però, alla lettera...io non medito il suicidio!)

come margherita di valois

"Ragazza con turbante", Jan Vermeer


Margherita di Valois



Diane de Poitiers



Cristina di Svezia



Anna Bolena



Elisabetta I d'Inghilterra

Una sensazione che mi ha sempre accompagnato, è quella di non essere in sintonia con l'epoca storica in cui il caso ha voluto che io nascessi. E, probabilmente, da questo dato di fatto, scaturisce la fascinazione che tutto ciò che è passato esercita sulla mia psiche. Forse è solo suggestione. Magari mi sarei sentita un pesce fuor d'acqua comunque. Ma, se credessi nella metempsicosi, mi piacerebbe pensare che in una vita precedente, io abbia vestito i panni di un'antica egizia con gli occhi da gatta sapientemente disegnati, oppure di essermi aggirata in sontuosi abiti nei giardini di Versailles, o di essere stata ritratta in un dipinto di epoca rinascimentale, possibilmente non in qualità di una delle sventurate mogli di Enrico VIII. Non che disdegni una morte tragica e prematura (si addice al personaggio), ma vuoi mettere la visione drammaticamente suggestiva di una Cleopatra suicida grazie al morso di un aspide, con quella, raccapricciante, di un' Anna Bolena costretta a poggiare la testa su un ceppo, in attesa che il boia gliela recida con due colpi d'ascia (il primo fallì nell'intento), o una Maria Antonietta in procinto di perdere la sua, che cadrà grottescamente in una cesta?

Uno dei periodi storici (e artistici) da cui mi sento maggiormente attratta, è il Rinascimento. Sono conscia che la posizione della donna fosse assai controversa, e per lo più penalizzante. Ella mostrava un volto angelico ed uno diabolico. Poteva indurre all'elevazione spirituale, come alla perdizione morale. Ma questo non ha impedito a Caterina de' Medici, tanto per fare un esempio, di governare uno dei paesi più potenti d'Europa, la Francia, per oltre trent'anni, o ad un' Elisabetta I di fare altrettanto in Inghilterra per oltre quaranta (anche se a lei, non ho mai perdonato di aver fatto decapitare la povera Mary Stuart), così come alle più celebri tra le "favorite" dei re di Francia (se dovessi scegliere, mi reincarnerei in una Diane de Poitiers) di risultare subdolamente determinanti sulle scelte politiche dei loro amanti sovrani. A pensarci bene, le donne potenti dell'epoca, sono state ben più potenti di quelle ritenute tali nel nostro secolo. Ma non sono ammaliata dall'idea del potere di per sè. In me prevale la passione per le atmosfere, la quotidianità, il viaggiare in carrozza, gli abiti e gli accessori, le feste di corte, le passioni, gli intrighi, gli inganni, i colpi di scena e, meno frivolmente, per la cultura delle arti, della letteratura, della filosofia, delle lingue, della danza, della musica, del ricamo, in cui le figure femminili degli ambienti di corte eccellevano. Prendi una Margherita di Valois, a cui il potere politico, che contraddistinse la madre, fu precluso, ma che incarnò un ideale di fascino femminile (tra l'altro, ebbe numerosi amanti) unito ad un fine intelletto e velleità di poetessa. Certo, preferisco immaginarla con le sembianze di Isabelle Adjani nella "Regina Margot", piuttosto che in quelle realisticamente riprodotte nei ritratti dell'epoca. E questo, purtroppo, è un mio cruccio. Sono molto rari i casi in cui alla fama del personaggio, corrisponde una ritrattistica avvenente. La più deludente di tutte (oltre alla bruttissima Elisabetta I, che non ha niente a che spartire con Cate Blanchett, se non la fulva capigliatura), è forse proprio la mia omonima Cristina di Svezia. Alla sua corte fiorì il circolo poetico dell'Arcadia ed ebbe fama di grande seduttrice, ma, dopo averla identificata con Greta Garbo nel film "La Regina Cristina", lo sconforto nel vedere il suo ritratto fu immenso. Ora mi direte "Ma guarda un pò, hai citato solo nobildonne!", ma io, prontamente, vi rispondo che mi sarei anche accontentata di essere l'umile servetta (stando alla teoria romanzesca di Tracy Chevalier) che ha ispirato Vermeer nel suo "Ragazza con turbante"!

martedì 21 aprile 2009

nevrosi

Appena patentata, quella sera accompagnavo a casa un’anziana, e ignara, amica di famiglia.

Già consapevole di avere qualche problemino a valutare bene le distanze, soprattutto al calare dell’oscurità e nelle strade anguste, scorsi, con una certa agitazione, un voluminoso fuoristrada parcheggiato alla mia sinistra e un ingombrante palo della luce alla mia destra. L’inquietante dubbio che si affacciò alla mia mente ansiosa fu:

“ci passerò?”

Dovevo decidere in fretta (chissà perchè, poi). Ero quasi totalmente certa che lo spazio fosse troppo risicato. Ciononostante, volli tentare. Non rallentai nemmeno. Chiudendo gli occhi, andai incontro al mio destino, addirittura accelerando.

Naturalmente, ci rimisi lo specchietto laterale della Polo Fox nuova di zecca.

Non fu il danno materiale ad angosciarmi, bensì il mio atteggiamento scellerato.

Eppure, tuttora, al cospetto di un qualsiasi imprevisto o situazione che non so gestire, la mia congenita irrazionalità esplode nel modo più nefasto, inducendomi a fare l'opposto di ciò che farebbe una persona assennata... Il motto è rimasto lo stesso di quella sera:


“O la va o la spacca”


Da anni mi scervello sulle possibili cause del disturbo compulsivo. Non riesco proprio a dargli un senso, una spiegazione. E' il mio inconscio che così manifesta la sua passione per le sfide? La sua voglia di rischiare e trasgredire? E' semplice scelleratezza? O tendenze autodistruttive?


spreco

Il segreto sta nel ridurre tutto all’essenziale. Sfrangiare. Sfoltire il più possibile. Arrivare all’osso. Troppo abile in certi diabolici giochetti, mi perdo sterilmente dietro a mille sfumature-alibi, e mi distraggo. Le intuizioni partono dal giusto, ma poi divagano ad oltranza. I pensieri, diramandosi, tessono grovigli inestricabili, ad oscurare la semplice evidenza delle cose.
Lo interromperò con forza questo circolo vizioso di chi

nata per sentire, non fa altro che pensare.

lunedì 20 aprile 2009

risveglio

Mi sveglio col profumo del caffè nelle narici.
Intontita dal sonno, non realizzo che è solo suggestione.
Ne prendo coscienza poco a poco.
Ma m’impongo di continuare a crederci.
L’aroma è così intenso e persistente,
che alla fine mi chiedo se non sia il caffè della vicina
che ha aperto le finestre.
Prima che mia madre suoni il campanello
e reclami le attenzioni mattutine,
mi godo quel momento.
Mi cullo ancora un po’ nell’illusione.
Resto immobile così, in attesa di "qualcosa"
e bisbiglio assurdamente...
qualcuno, adesso, pensi a me...

domenica 19 aprile 2009

sposerò gregory peck



La prima volta che lo vidi, avrò avuto, forse, cinque anni. Ne rimasi conquistata.
Mi è capitato di vederlo ancora negli anni successivi e, mano a mano che crescevo, ero in grado di coglierne una sfumatura diversa, una più profonda chiave di lettura. Naturalmente, in tenerissima età, il tema del razzismo, fondamentale nella storia, risulta difficilmente contemplabile.
Ciò che m' impressionò, e mi rimase dentro per sempre, fu l'atmosfera magica del film, a tratti un pò "paurosa", alimentata dalla struggente e suggestiva musica, armoniosamente fusa con le immagini; il ritrovare sullo schermo il mio mondo infantile, così delicatamente, eppur realisticamente, affrescato; il tenero rapporto che univa Atticus ai suoi due bambini; ma, soprattutto, la figura del misterioso Boo, la cui identità di innocuo malato di mente che, isolato dal mondo dei "sani", ricerca il contatto con le uniche creature a lui affini, i bimbi appunto, si rivela solo nel finale.

Ora pensavo, molto banalmente, a quanto sia ricettiva, pura, plasmabile la mente di un bambino. A come un film, un racconto, una qualsiasi esperienza vissuta nell'infanzia, possa essere tanto suggestiva, e così facilmente assimilabile, da riuscire a diventare parte integrante della personalità di un individuo. Ho visto centinaia di film nell'arco della mia esistenza, in molti di loro ho riconosciuto dei capolavori...Eppure, mai più nessuno è stato in grado di emozionarmi ed ammaliarmi quanto




Inoltre, in quell'occasione, presi anche una decisione importante per il mio futuro: da grande avrei sposato Gregory Peck...o, al limite, uno proprio uguale uguale a lui.

sabato 18 aprile 2009

mens sana in corpore sano

sì, ma...
intanto che decido da quale dei due devo cominciare,

lascio andare entrambi alla deriva!
...quella volta che la Lucia, un' amica d' infanzia ma non troppo (nel senso che non eravamo proprio in confidenza), giocando ad acchiappino (o forse a nascondino?), di punto in bianco, inspiegabilmente, senza che le avessi fatto alcunché, mi sputò in un occhio. Eravamo sette, otto bambine. Ma lei decise di sputare proprio a me. Nell'arco dei quasi trent'anni che mi separano dall'evento, non ho mai smesso di chiedermi...


"perché?"
Certi piccoli accadimenti hanno il potere di intossicarmi la giornata.
Alle commesse della Benetton, ormai, non presto più di tanta attenzione. Sono autentiche bimbette. Vent'anni al massimo. Diciamo che sono preparata al peggio. Ma non tollero che una donna "di una certa età", come l'addetta al reparto pescheria del supermercato R.G., che potrebbe essere mia zia, si rivolga a ME con modi simili.
"Buongiorno, Signora! Desidera, Signora? Il rombo glielo sfiletto, Signora?...Se vuole, Signora, la sogliola gliela spello!...Desidera altro, Signora? Grazie, Signora! Arrivederci, Signora."
Ho dovuto far appello a tutto il mio autocontrollo, per evitare di risponderle

Signora sarà Lei!


... e il pesce all'R.G., non ce lo compro più.

venerdì 17 aprile 2009

una sera...


Decisi che quel momento doveva vivere in eterno. Decisi di prolungarlo il più possibile, perchè dovevo imprimermelo ben bene nella memoria e dare un senso a tutto.
In quel periodo, aveva dolori alla schiena. Lo massaggiavo accuratamente, cercando di insistere nei punti in cui i muscoli erano contratti.
"Qui ti fa male?...E qui?". "Sì, ecco! E' proprio lì! Brava, così va bene...".
Intanto, gli raccontavo nei dettagli come avevo trascorso la giornata. Era una domenica sera di inizio primavera. Il pomeriggio ero andata a visitare gli scavi archeologici di Luni.
Lui mi ascoltava con interesse e incoraggiava il mio racconto stimolandolo con ulteriori domande. Io mi stupivo di quanto fosse semplice e naturale "parlare" con lui. Mi resi conto che, per tutto quel tempo, probabilmente non aveva desiderato altro che io gli parlassi ancora. E adesso ero lì, raccontavo, esternavo...ansiosa di colmare un black out protrattosi per oltre dieci anni.
Colpevole, ripensavo ai miei precedenti atteggiamenti di totale chiusura, talvolta ostili, alle mie risposte monosillabiche, spesso sgarbate. Retaggi di incomprensioni sorte negli anni della mia adolescenza, degli errori che gli avevo attribuito e mai perdonato. Ma lui non aveva cessato per un attimo di guardare a me come alla sua "bimba" prediletta. Con lo stesso sguardo amorevole e orgoglioso di quando tra noi esisteva una complicità speciale, che suscitava l'invidia benevola di mia madre. Aveva saputo andare "oltre". Oltre i miei ostinati silenzi. Vedeva tutto. Sapeva, molto meglio di me, quando commettevo un errore, quando non ero felice. Però, aveva evitato di essere invadente, si era fatto da parte. Mi aveva lasciato fare. Si era limitato a lanciarmi dei segnali che sperava io cogliessi. Invece, io avevo dovuto aspettare che lui si ammalasse per riavvicinarmi e per capire. Così come avevo dovuto aspettare la conclusione di un esame diagnostico, invasivo e doloroso, per stringerlo forte e, vincendo uno stupido pudore, dirgli "ti voglio tanto bene".
Siamo stati vicini come mai prima, nei due anni della sua malattia. Certo, non sarà più possibile recuperare tutto quel tempo sprecato che li ha preceduti, e questo rimpianto me lo porterò sempre nel cuore.
Però, l'obiettivo di quella sera non l'ho fallito. Sento ancora il calore della sua pelle sui palmi delle mani e, nelle orecchie, i miei racconti, le sue risate...

amiche del cuore



Di tanto in tanto, ho l'impressione di averti ritrovata. E' l'illusione che dura lo spazio di una lacrima, di un abbraccio. So che mi vuoi bene, come io ne voglio a te. Ma i rispettivi dolori, vissuti, elaborati, in modo diametralmente opposto, sembrano averci allontanato. Sei diventata rigida, talvolta intollerante. Chiusa al mondo. Anche quando ti preoccupi per me, e sei sincera, raramente percepisco il calore che emanavi un tempo. Quasi temo di esser giudicata. E mi inbisco. Te lo leggo in faccia quando non approvi le mie scelte. Consapevole di essere cresciuta, tu ora ti definisci sostanzialmente equilibrata. Delusa, amareggiata, ammetti di non essere felice, e di sentirti sola. Ma adulta, finalmente. E ne sei fiera. Trovi appiglio e appagamento, dici, nei tuoi molteplici interessi: le mostre d'arte, i libri, la musica, i film, le ricette di cucina. Eppure ne parli, per lo più, con fredda lucidità analitica, a tratti sembri quasi anaffettiva. Disprezzi la persona che eri: pazza scatenata, lunatica, sognatrice, volubile, incostante, intemperante, coinvolgente. Un fiume in piena. Quella che mi esternava tutto, credendo, a torto, di assillarmi. Ma lei era la mia migliore amica. Io l'adoravo. E me l'hai tolta. Adesso tu sei grande ed io... eterna, confusa, sprovveduta, incoerente ragazzina.

martedì 14 aprile 2009

sehnsucht e tavernello






Ieri sera ho avvertito un senso di Sehnsucht particolarmente dirompente che sarebbe stato il caso di sfruttare per un post.
Tra l'altro, sono giunta alla conclusione di essere cronicamente affetta proprio da Sehnsucht. Coleridge (che con la Sehnsucht non c'entra nulla) scriveva sotto l’effetto degli oppiacei (ed era in buona compagnia). Amplificavano le sue già marcate velleità visionarie e conferivano alla sua poesia quel fascino onirico che la rende così particolare. Lo capisco, perchè è proprio spogliandosi dei freni inibitori che si libera la coscienza dagli schemi e dalle sovrastrutture in cui è per lo più imbrigliata, e la creatività esplode. Non sono Coleridge, non ho il dono della poesia, e non ho mai fatto uso di oppio, ma, nel mio piccolo, mi è spesso sufficiente un bicchiere di vino per abbandonarmi ai pensieri più bizzarri e per vivere qualsiasi emozione con maggiore intensità. Non ho tanto delle "visioni" traducibili in versi, solo percepezioni più dense e palpabili, sia della realtà che dei miei stati emotivi. Nel bene e nel male. Ma, tali momenti mi assalgono sempre nei contesti sbagliati, quando non ho la possibilità di trasporli istaneamente sulla carta e così, inevitabilmente, si disperdono, con mio grande senso di frustrazione.
Ieri sera, comunque, dicevo che io e la Sehnsucht eravamo una sola cosa. Questa parola, chiave del romanticismo tedesco, evocativa e affascinante, risulta intraducibile in italiano. Come non credo sia traducibile in nessun altra lingua al mondo. Spesso la si identifica nella “nostalgia”. Niente di più riduttivo. La nostalgia è un concetto alquanto banale legato al rimpianto del passato. Il desiderio di rivivere un qualcosa che abbiamo già vissuto e che ci ha dato gioia. La Sehnsucht è anelito all’ineffabile. E’ il desiderio o, meglio, la smania di raggiungere l’irraggiungibile. E’ perenne irrequietezza, è avvertire dentro qualcosa di enormemente grande e incontenibile che, tuttavia, non trova una via di sfogo. E’ la percezione che c’è sempre qualcosa che ci sfugge e che solo raggiungendo quel qualcosa si potrà essere veramente felici (quindi: mai).
Ieri sera la Sehnsucht era la fonte di ogni mio male. Anche se fumo, pensavo, è per colpa sua. Ho l'impressione, fumando, di andare a colmare in minima parte quel fastidiosissimo senso di vuoto e di incompiuto (in realtà so benissimo che mi faccio solo del male e non colmo un accidente).
Fugaci, ma intensi, appagamenti della Sehnsucht mi colgono talvolta, improvvisi e inaspettati, durante l'ascolto della musica, o nel contemplare un'opera d'arte (l'arte, in fondo, è nata proprio con questo scopo), o alla vista di uno spettacolo della natura. Sono momenti magici di autentica euforia, che mi armonizzano col mondo, istanti in cui mi sembra di toccare l'assoluto. Subito dopo, il tempo di riacquistare consapevolezza dello stato delle cose, la mente si rimette "tragicamente" in moto...
P.S. Nel tentativo di trasfondere in immagini lo spirito del romanticismo tedesco, era abbastanza scontato e naturale che mi rivolgessi a Caspar David Friedrich.

lunedì 13 aprile 2009

zena


Se qualche tempo fa mi si fosse chiesto quale personaggio della letteratura mi rispecchia, avrei fatto il nome di un'eroina tragica e passionale come Madame Bovary, o un suo equivalente, che so...la russa Anna Karenina, piuttosto che la tedesca Effi Briest, oppure la britannica Tess of the D'Urbervilles. Ma stamani pensavo, invece, che ultimamente mi ritrovo molto di più in uno Zeno Cosini. Non vorrei esagerare. Non mi sento un'inetta. Incostante sì, però. Inconcludente, pure. E come lui incline a ravvisare il nocciolo dei miei malesseri, di volta in volta, in un determinato "problema" o in un fattore esterno, nel dilemma del momento, in una situazione specifica e contingente, la cui risoluzione costituirebbe lo scioglimento della tensione e il raggiungimento della pace interiore e dell'appagamento. Ogni giorno, ormai, come lui, fumo la mia ultima sigaretta. Come lui, ragiono su ogni cosa, "sviscero" ed analizzo ad oltranza in cerca di una risposta che probabilmente non voglio trovare. Zeno s'inganna. E tende ad ingannare anche il suo psicanalista. Persegue un obiettivo e ne raggiunge uno completamente diverso e antitetico. E' innamorato di Ada, ma finisce per sposare, affidandosi un pò al caso, la bruttissima Augusta. Quando si trova un'amante, riesce a rovinare tutto e la perde grazie ai suoi patologici sensi di colpa.
A dirla tutta, però, sbaglio dopo sbaglio, alla fin fine lui fa, inconsapevolmente, la cosa giusta. Gli errori non sono sempre casuali, di frequente sono lapsus freudiani (e qualcuno mi ha insegnato che la pensa così anche Brian Eno). L'Augusta, poveraccia, era in fondo l'unica donna che potesse stargli accanto. E quella volta che Zeno sbaglia corteo funebre, probabilmente è proprio perchè ha sempre detestato il cognato defunto...
Che senso ha sto post? Boh. E, soprattutto, che senso ha sto blog? Nessuno. Forse. Non vorrei rappresentasse un surrogato del mio personale Dottor S.

attenta a come parli!

Dalla mia postazione di lavoro, metto a fuoco un piccolo ospite dell'albergo (otto? nove anni?), intento a palleggiare in giardino. Proprio tra gli ancora radi ed esili ciuffi di tenera erbetta seminata da poco e le piante rigogliose di fiori colorati appena sbocciati. Non m'intendo di calcio, ma sembra parecchio abile ed esperto. Lo raggiungo e, il più dolcemente possibile, lo invito così "Scusa, potresti andare a giocare più in là? Magari nel viale, lontano dai fiori?". Non mi guarda neanche, non perde la concentrazione, ma, risentito, puntualizza:

"Aò, nun sto a giocà, me sto a allenà!"

domenica 12 aprile 2009

sarah miles

" If one could believe in God, would he fill the desert?
I have always wanted to be liked or admired. I feel a terrible insecurity if a man turns on me, if I lose a friend. I don't even want to lose a husband. I want everything all the time, everywhere. I'm afraid of the desert. God loves you, they say in the churches. God is everything. People who believe that, don't need admiration, they don't need to sleep with a man, they feel safe. But I can't invent a belief".

sabato 11 aprile 2009

prima volta


"Anomala" sin dalla più tenera età, ho sempre condiviso ben poco con le mie coetanee. Forse perchè più matura? (oggi, al contrario, mi distinguo per alcuni marcati tratti di infantilismo cronico che difendo strenuamente come il più prezioso dei tesori. A quanto pare, sono condannata ad essere, sempre e comunque, dissonante). Ero anche molto timida e sensibile, un pò troppo direi. E l'educazione retrò impartitami da mio padre, non mi spronava di certo ad aprirmi al mondo. Poiché io per prima non avvertivo più di tanto l'esigenza di omolagrmi agli altri, non mi sono quasi mai ribellata ai suoi metodi pedagogici così antichi. Fu solo nei primi anni del liceo, che osai cimentarmi in qualche blando tentativo di emancipazione. Non che ardessi dal desiderio di andare in discoteca. In realtà, non poteva fregarmene di meno. Ma, per principio, iniziavo a non accettare più certe restrizioni, che giudicavo decisamente eccessive e anacronistiche. Un giorno diedi sfogo al mio pensiero in modo eclatante. Fu la prima ed ultima volta. In un'esplosione d'ira non scevra di lacrime, sconfinai nel melodrammatico, per sfociare nel ridicolo quando arrivai a definirlo, forse suggestionata dalle recenti letture scolastiche di Gavino Ledda, "un Padre Padrone"! Comprensibilmente, se ne adirò non poco e le sue potenti urla riecheggiarono in tutta la casa per una buona mezzora. Ne scaturì, però, la prima concessione. Pochi giorni dopo, infatti, feci il mio trionfale ingresso in discoteca, rigorosamente di domenica pomeriggio. Gli accordi erano chiari: mi avrebbe aspettato alle 19:00 fuori dal locale. Non avevo la benché minima intenzione di sgarrare. Ma le sette son le sette, non le sette meno cinque. Fu lui, proditoriamente, a non rispettare gli accordi, visto che, alle sette meno cinque, appunto, si manifestarono i prodromi della mia piccola tragedia: le musiche si interruppero brutalmente. Il silenzio che ne seguì fu spaventoso e surreale. Quei pochi secondi mi parvero un'eternità, in quanto GIA' sapevo cosa stava per accadere. Ebbi, purtoppo, il tempo di notare le espressioni perplesse sulle facce dei teen agers "normali" che stipavano l'enorme sala, compresa quella dell'amica che mi stava di fronte. Un istante prima, si dimenavano meccanicamente con i loro movimenti stereotipati, incuranti, forse ignari, di non essere affatto in armonia con la musica (ricordo di averli associati ad "Up Patriots to Arms" di Battiato, quando dice che "le pedane sono piene di scemi che si muovono" e, cercando tuttavia di emularli, un pò rimpiangevo le danze sfrenate e liberatorie cui genuinamente ero solita abbandonarmi immersa nel frastuono della mia stanza), ed ora stavano lì immobili ad aspettare che succedesse qualcosa di misterioso. Il mistero fu svelato, quando una voce annunciò, forte e chiara, ogni singola parola accuratamente, e crudelmente, scandita: "Cristina S. è attesa all'ingresso del locale. Ripeto, Cristina S. è attesa all'ingresso del locale!". Non credo ci sia bisogno di descrivere quel che provai. Il viso in fiamme, la voglia di essere inghiottita dal pavimento, mi dileguai in una frazione di secondo e salii in macchina con le lacrime agli occhi, rimproverando mio padre per non avermi fatto sentire "normale" nemmeno in quell'occasione...

esternazione


Spagna. Una notte di molti anni fa.
Tre vagabondi in viaggio alla volta dell'Andalusia.
Una complicità appena nata e già perfetta.
Quell'inebriante senso di libertà in un'atmosfera surreale e un pò on the road.
Manolito al volante del suo furgone; Lui, seduto accanto al guidatore.
Io, ormai assonnata, mollemente abbandonata sui sedili posteriori.
Fermi in una stazione di servizio, la voce di una certa Monica Naranjo in sottofondo.
Si volta di scatto verso me.
Un incrocio di sguardi.
Nell'oscurità, noto lo scintillio dei suoi occhi
e il dispiegarsi di un largo sorriso che svela il candore dei denti.
Estatico, raggiante, cerca di afferrare la mia immagine,
e allegramente dice
"Amore, come sei bella al buio!"

venerdì 10 aprile 2009

fuga

Ancora si scopre a rievocare quel folle viaggio in treno. Vagheggiato mille volte, e alla fine improvvisato. Contro ogni logica e ragionevolezza.
Bugie ed inganni e sotterfugi. Proprio lei che non sa mentire. Pur di fuggire via da tutto. Quasi a cercare una violenta scorciatoia, "un coup de théatre", per resettare la sua vita.
Ansia e fiato corto. Senso di fatalità. Rimorsi misti ad euforia.
Attònita, fissa l'immagine della donna riflessa nel finestrino e si chiede se quella è lei davvero.
Sospesa tra sogno e realtà, in bilico tra un ingombrante presente che sembra osservare sgomento i propri ultimi spasmi, ed un "quasi futuro" spaventevolmente esaltante, cerca di analizzare le sue confuse reazioni: incredulità, terrore, trepidazione, angoscia. Gioia.
Un cuore può veramente reggere a tanto? Sembra non avere mai fine quel viaggio, ma finisce, invece.
Quasi sopraffatta da un senso di irreparabilità e di catastrofe imminente, sente annunciare la sua stazione di arrivo.
Non si può più tornare indietro.
Ma dubbi e paure si dissolvono in un attimo davanti a due occhi scuri che, sconosciuti e familiari, ridono come mai altri occhi prima. Ridono perché c'è lei!
E a due mani che stringono le sue. Mani teneramente fredde, sudate e palpitanti di incontenibile emozione, che le ricordano quelle di suo nipote bambino al saggio di pianoforte.
Chissà, ora s'interroga, cosa sarebbe la sua vita, se da quella follia, che di lei è forse la più pura ed intima essenza, si fosse lasciata guidare senza esitazione, se le si fosse abbandonata senza ombra di riserva.


lunedì 6 aprile 2009

riflessione




fragile


Una parola è sufficiente a convertirmi il riso in pianto, precipitandomi in quello stesso abisso da cui m'intravedevo emergere. Sgretolata l'illusione di una serenità tanto vicina, eccomi di nuovo in balìa delle correnti. Non sono ancora sulla strada giusta.

senza età


I capelli biondi mechati sempre in ordine, le palpebre dipinte di un celeste acceso che fa pendant con il colore degli occhi, incredibilmente vivaci e luminosi, l'immancabile rossetto fucsia, l'inconfondibile cadenza milanese simpaticamente snob, incontaminata dall'ultratrentennale permanenza in terra di Toscana. Mi osserva per una manciata di secondi, con sguardo attento e indagatore, prima di erompere, simulando un tono enfaticamente stizzoso, in un "Tu mi fai una rabbia...ma una rabbia! Possibile che non hai un filo di pancia?".

Ho quarantasei anni meno di lei, ma questi son dettagli.

La Tina è il mio mito. Ho deciso di invecchiare come lei. Ma mi guardo bene dal dirglielo. Guai ad usare con disinvoltura certi verbi e aggettivi associandoli alla sua persona. L'anno scorso, a stento si è trattenuta dal mandare a quel paese il prete che, durante la benedizione pasquale in casa sua, ha chiesto a Nostro Signore di vegliare con benevolenza su una sconosciuta '"anziana donna" con cui lei non ha proprio nulla da spartire.

domenica 5 aprile 2009

obiettivi


Li cambio ogni giorno, come cambio priorità. A volte, vittima di accessi di megalomania, mi prefiggo di stravolgere la mia vita alla radice. Quasi istantaneamente, però, mi ridimensiono e il buon senso mi suggerisce di cominciare dalle piccole cose. L’altro ieri la missione era: smettere di fumare. Mi sono coricata senza sigarette, riuscendo a resistere al senso di panico che mi provoca l’idea di non averne a disposizione nemmeno una da abbinare al primo caffè della mattina. Peccato che ne abbia comperati due pacchetti subito dopo colazione. Ieri era: uscire, muovermi, correre sulla spiaggia respirando a pieni polmoni l’aria salmastra. Sono sempre stata agile e scattante. Perfino instancabile camminatrice sui sentieri di montagna. Oggi mi capita di piegarmi sulle ginocchia per raccogliere qualcosa e di sentire scricchiolare sinistramente le giunture. Purtroppo, è bastato constatare che il cielo si stava leggermente rannuvolando, per procrastinare la passeggiata a un momento più propizio. Oggi ho deciso che la cosa fondamentale, è mettere in ordine la mia camera e la cucina. Mi sono stancata del caos che mi circonda, alimenta il mio senso di disagio! A proposito, stamattina, con meraviglia, ho scoperto di avere le stalattiti nel forno. Conseguenza della disastrosa preparazione dei toast di ieri sera (il tostapane l’ho fulminato da una vita e, con la solita indolenza che ultimamente mi contraddistingue, non ho ancora provveduto ad acquistarne uno nuovo). Ho infornato i benedetti toast e son tornata in camera mia, d’altronde dovevo aprire il MIO blog, non so se mi spiego…Sennonché, dopo alcuni minuti, un inquietante odore di bruciato mi ha raggiunta fin qui. Ebbene, poco fa ho notato le affascinanti concrezioni brunastre di sottilette fila e fondi che pendevano giù per la griglia. E’ stato piacevolissimo, tra l’altro, disintegrarle passandoci la mano.
Comunque, riprendendo il filo del discorso, so perfettamente che le mie attuali trascuratezze domestiche sono lo specchio di un disordine interiore e, quindi, seguendo un ragionamento puramente logico, se mi impongo di ristabilire l’ordine intorno a me, metto le basi per riordinare mente ed emozioni. Ecco, sì. Stavolta faccio proprio così. Mica come con il blog! Ci pensavo da un anno e non mi decidevo mai ad aprirlo, aspettando chissà quale epifanico momento, chissà quale provvidenziale “illuminazione”.

sabato 4 aprile 2009

pentimento


Sempre più spesso mi fa scappare la pazienza. Per anni mi sono dedicata a lei con spirito giocoso e complice, cercando di alleviarne le pene e farle percepire il meno possibile la drammaticità della sua condizione. Da quando, però, il mio animo si è incupito, turbato da dubbi e malesseri interiori, da dilemmi esistenziali, delusioni e bilanci negativi, nonché concrete preoccupazioni per il futuro, le faccio, talvolta, avvertire la mia personale stanchezza. E’ vero che, di solito, non sembra curarsene più di tanto. Mi richiama all’ordine e, lucida e implacabile, sottolinea ogni mia pecca, spesso “spifferandola”, ed enfatizzandola, a mia sorella! Con l’egoismo, o meglio, l’egocentrismo, tipico delle persone anziane e malate, esige parecchio. Penso di darle tanto, nonostante i miei nervosismi, ma non è mai abbastanza. I miei repentini sfoghi pseudo-isterici sono dettati da un certo senso di oppressione. Lei sta monopolizzando la mia vita, santo cielo! Poi, capitano momenti come questo, in cui, di colpo, la osservo mentre la imbocco, entrambe sedute sul bordo del letto, e la vedo nella sua disarmante vulnerabilità. Dipendente in tutto e per tutto da me. Immobilizzata nel suo letto, la tv a tutto volume, accesa ventiquattr' ore su ventiquattro, immersa nel suo microcosmo. Unici svaghi, oltre alla tv, le saltuarie visite della Signora Tina, la sua migliore amica che le gioca i numeri al lotto (numeri che non escono mai), e le fotografie. Quelle bellissime, in bianco e nero, della sua giovinezza. Quelle che la ritraggono nei momenti del suo massimo splendore, insieme al suo unico grande amore (mio padre), o ai figli ancora piccoli. Qualche tempo fa mi sorprese e mi commosse quando, fissando con intensità una foto incorniciata del suo matrimonio, con gli occhi lucidi sospirò “Com’era bello, il mio Amore!”. Non l’avevo mai sentita parlare così di mio padre. Con quella spontaneità, quel trasporto, e quel senso di rimpianto nel rievocare la passione e il sentimento che l’avevano legata a lui. Come se fosse oggi. Aveva parlato la donna innamorata. Aveva parlato la ragazza di allora, la ragazza che è ancora in lei. Ha un caratterino tosto, la Flora. E’ sempre stata cocciuta e un po’ dispotica. Abile amministratrice di tutte le faccende di casa, continua a dirigere l’andamento domestico dalla “stanza dei comandi”, come scherzosamente io chiamo la sua camera. Sa essere anche molto ironica, però. E, un tempo, sapevo ridere più spesso al cospetto delle sue tante sortite esilaranti (un po’ ciniche e dissacranti). Ma la Flora più autentica è quella che in questi giorni non si dà pace pensando al fratello che lei crede grave in ospedale, mentre in realtà è morto da una settimana; quella che, quotidianamente, si premura di farmi sbriciolare il pane avanzato, con lo scopo di rimpinzare i passeri, i merli e i pettirossi che, numerosi, zampettano nel nostro giardino; la stessa che, stamani, quando stavo per servirle la colazione, mi ha ordinato di riempire di latte la ciotola dei gatti (dei bimbi, come li chiama lei) e, nell'apprendere che l’ultima tazza era proprio quella destinata a lei, ha risposto “Io mangio lo yogurt”.