sabato 11 aprile 2009

prima volta


"Anomala" sin dalla più tenera età, ho sempre condiviso ben poco con le mie coetanee. Forse perchè più matura? (oggi, al contrario, mi distinguo per alcuni marcati tratti di infantilismo cronico che difendo strenuamente come il più prezioso dei tesori. A quanto pare, sono condannata ad essere, sempre e comunque, dissonante). Ero anche molto timida e sensibile, un pò troppo direi. E l'educazione retrò impartitami da mio padre, non mi spronava di certo ad aprirmi al mondo. Poiché io per prima non avvertivo più di tanto l'esigenza di omolagrmi agli altri, non mi sono quasi mai ribellata ai suoi metodi pedagogici così antichi. Fu solo nei primi anni del liceo, che osai cimentarmi in qualche blando tentativo di emancipazione. Non che ardessi dal desiderio di andare in discoteca. In realtà, non poteva fregarmene di meno. Ma, per principio, iniziavo a non accettare più certe restrizioni, che giudicavo decisamente eccessive e anacronistiche. Un giorno diedi sfogo al mio pensiero in modo eclatante. Fu la prima ed ultima volta. In un'esplosione d'ira non scevra di lacrime, sconfinai nel melodrammatico, per sfociare nel ridicolo quando arrivai a definirlo, forse suggestionata dalle recenti letture scolastiche di Gavino Ledda, "un Padre Padrone"! Comprensibilmente, se ne adirò non poco e le sue potenti urla riecheggiarono in tutta la casa per una buona mezzora. Ne scaturì, però, la prima concessione. Pochi giorni dopo, infatti, feci il mio trionfale ingresso in discoteca, rigorosamente di domenica pomeriggio. Gli accordi erano chiari: mi avrebbe aspettato alle 19:00 fuori dal locale. Non avevo la benché minima intenzione di sgarrare. Ma le sette son le sette, non le sette meno cinque. Fu lui, proditoriamente, a non rispettare gli accordi, visto che, alle sette meno cinque, appunto, si manifestarono i prodromi della mia piccola tragedia: le musiche si interruppero brutalmente. Il silenzio che ne seguì fu spaventoso e surreale. Quei pochi secondi mi parvero un'eternità, in quanto GIA' sapevo cosa stava per accadere. Ebbi, purtoppo, il tempo di notare le espressioni perplesse sulle facce dei teen agers "normali" che stipavano l'enorme sala, compresa quella dell'amica che mi stava di fronte. Un istante prima, si dimenavano meccanicamente con i loro movimenti stereotipati, incuranti, forse ignari, di non essere affatto in armonia con la musica (ricordo di averli associati ad "Up Patriots to Arms" di Battiato, quando dice che "le pedane sono piene di scemi che si muovono" e, cercando tuttavia di emularli, un pò rimpiangevo le danze sfrenate e liberatorie cui genuinamente ero solita abbandonarmi immersa nel frastuono della mia stanza), ed ora stavano lì immobili ad aspettare che succedesse qualcosa di misterioso. Il mistero fu svelato, quando una voce annunciò, forte e chiara, ogni singola parola accuratamente, e crudelmente, scandita: "Cristina S. è attesa all'ingresso del locale. Ripeto, Cristina S. è attesa all'ingresso del locale!". Non credo ci sia bisogno di descrivere quel che provai. Il viso in fiamme, la voglia di essere inghiottita dal pavimento, mi dileguai in una frazione di secondo e salii in macchina con le lacrime agli occhi, rimproverando mio padre per non avermi fatto sentire "normale" nemmeno in quell'occasione...

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