venerdì 17 aprile 2009

una sera...


Decisi che quel momento doveva vivere in eterno. Decisi di prolungarlo il più possibile, perchè dovevo imprimermelo ben bene nella memoria e dare un senso a tutto.
In quel periodo, aveva dolori alla schiena. Lo massaggiavo accuratamente, cercando di insistere nei punti in cui i muscoli erano contratti.
"Qui ti fa male?...E qui?". "Sì, ecco! E' proprio lì! Brava, così va bene...".
Intanto, gli raccontavo nei dettagli come avevo trascorso la giornata. Era una domenica sera di inizio primavera. Il pomeriggio ero andata a visitare gli scavi archeologici di Luni.
Lui mi ascoltava con interesse e incoraggiava il mio racconto stimolandolo con ulteriori domande. Io mi stupivo di quanto fosse semplice e naturale "parlare" con lui. Mi resi conto che, per tutto quel tempo, probabilmente non aveva desiderato altro che io gli parlassi ancora. E adesso ero lì, raccontavo, esternavo...ansiosa di colmare un black out protrattosi per oltre dieci anni.
Colpevole, ripensavo ai miei precedenti atteggiamenti di totale chiusura, talvolta ostili, alle mie risposte monosillabiche, spesso sgarbate. Retaggi di incomprensioni sorte negli anni della mia adolescenza, degli errori che gli avevo attribuito e mai perdonato. Ma lui non aveva cessato per un attimo di guardare a me come alla sua "bimba" prediletta. Con lo stesso sguardo amorevole e orgoglioso di quando tra noi esisteva una complicità speciale, che suscitava l'invidia benevola di mia madre. Aveva saputo andare "oltre". Oltre i miei ostinati silenzi. Vedeva tutto. Sapeva, molto meglio di me, quando commettevo un errore, quando non ero felice. Però, aveva evitato di essere invadente, si era fatto da parte. Mi aveva lasciato fare. Si era limitato a lanciarmi dei segnali che sperava io cogliessi. Invece, io avevo dovuto aspettare che lui si ammalasse per riavvicinarmi e per capire. Così come avevo dovuto aspettare la conclusione di un esame diagnostico, invasivo e doloroso, per stringerlo forte e, vincendo uno stupido pudore, dirgli "ti voglio tanto bene".
Siamo stati vicini come mai prima, nei due anni della sua malattia. Certo, non sarà più possibile recuperare tutto quel tempo sprecato che li ha preceduti, e questo rimpianto me lo porterò sempre nel cuore.
Però, l'obiettivo di quella sera non l'ho fallito. Sento ancora il calore della sua pelle sui palmi delle mani e, nelle orecchie, i miei racconti, le sue risate...

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