domenica 10 maggio 2009

vocazioni

Il paradosso è che dispenso pillole di buonumore. Se non altro, mi dico, sono gli altri a beneficiare della vitalità che emano, delle risate, dei miei buffi modi esuberanti. Anche al lavoro. Arrivo puntuale alle sette del mattino. Intorno a me le facce assonnate e cupe dei colleghi, che al primo effondersi della mia vocetta acuta, o al risuonare dei miei tacchetti svelti, spesso amplificato dall'indugiarmi in improbabili passi di danza, si fanno vispe e sorridenti. Lo sento quasi costantemente il cuore che è in tumulto, ed è un impegno grosso da gestire. A volte capita che, a tradimento, l'accenno di un pensiero o di un ricordo o quell'angosciante senso di vuoto che mi spiazza, mi tolgano il respiro e si concretizzino in un velo ad appannarmi gli occhi ma, con estrema prontezza di riflessi, caccio indietro le lacrime in una frazione di secondo e non vengo mai scoperta. E tuttavia non posso certo dire che il mio essere gioiosa sia un qualcosa di artefatto. La gioia erompe spontanea e incontrollata dal mio cuore, mista alla malinconia che nessuno sembra cogliere. E preferisco sia così. Mi piace rasserenare gli animi e portare l'allegria. Credo sia una vocazione. Tanto poi, se voglio,
a casa il modo di piangere lo trovo.

Nessun commento:

Posta un commento