lunedì 18 gennaio 2010

L'incontro fortuito con una persona, mi ha portato a rievocare un tenerissimo ricordo dell'infanzia. Nell'uomo che era davanti a me in mesticheria, grazie ad alcuni "indizi", ho riconosciuto il compagno dell'asilo dal quale ricevetti la prima proposta di matrimonio in assoluto. Non mi sorprende che per lui la mia figura non sia stata fonte di simili reminescenze.
La mia memoria emotiva ha del patologico. Difficilmente è condivisa.
Peraltro, le mie frequentazioni dell'asilo si ridussero all'arco di una decina di giorni in tutto.
Lo so perché mi fu spiegato negli anni successivi. Nella mia mente di bambina, però, quei giorni furono infiniti. Nell'infanzia, la percezione del tempo è dilatata.
Oltre a M., il "bambino" della mesticheria, di quei giorni mi rimane un senso di terrore. Quello che mi suscitavano le suore.
Altro che "Magdalene"!
Davanti agli occhi, ho ancora la bimba con i ricci che si rifiutava di mangiare il riso in bianco. E la monacaccia arcigna che, con la forza, si ostinava a rifilarle forchettate di riso dritto in gola, incurante dei pianti, dei quasi strozzamenti, dei conàti e della strage di candidi chicchi che, dalla bocca, si irradiava tutto intorno.
Queste, comunque, sono divagazioni inutili.
M. diede un senso a quei giorni. Fu il primo bimbo che notai, appena arrivata. Mi colpì vederlo giocare da solo. Sembra strano che a quattro anni già possa risultare tanto chiara la profonda crudeltà, e l' ingiustizia, dell'emarginazione. Voglio dire, nessuno te lo insegna, a quell'età. Nessuno mi aveva certo spiegato "Non discriminare! I bimbi sono tutti uguali". Così come nessuno, suppongo, aveva imposto agli altri miei compagni dell'asilo "Non giocare con quel bambino! Non vedi che è diverso?".
(Da qui ha origine la mia arbitraria convinzione che i fattori ambientali, in confronto al DNA, contino poco o niente).
La diversità di M., consisteva in un difetto fisico. La palatoschisi, volgarmente conosciuta come labbro leporino. Oltre a notarsi esternamente nella fisionomia del viso, si ripercuoteva in uno strano modo di parlare. Ciò era più che sufficiente a giustificare i suoi giochi solitari.
Chiaramente, divenne da subito il mio miglior amico.
Che fosse un'alleanza tra diversi?
La mia "diversità" non era originata da handicap o difetti fisici e mentali. Era frutto di una mia personale percezione. I bambini, notoriamente, sono spensierati. Quella spensieratezza, da quando ho cominciato a relazionarmi agli altri, non mi è mai appartenuta veramente. Insomma, io mi sentivo un mondo a parte.
Il giorno in cui M. mi chiese di sposarlo, mi trovai davanti ad un dilemma. Per ricordarlo così bene ancora oggi, vuol dire che presi la cosa seriamente. E seriamente analizzai la situazione. Résami conto che per lui provavo solo affetto, non mi parve proprio il caso di accettare. Non si alimentano così le illusioni delle persone buone, per poi rischiare di ferirle. Non si fanno promesse che già sappiamo di non poter mantenere. Però, e questo per me era straziante, se rispondevo negativamente, lui avrebbe indagato sulla motivazione della mia scelta. Come potevo, a quel punto, essere schietta e spiegargli "Perché non mi piaci abbastanza"? Lo avrei mortificato. Avrebbe sperimentato tutta la sofferenza del rifiuto . Quindi, cercai una mediazione. Pensai che la migliore soluzione risiedesse in una risposta spiritosa, tra il serio e il faceto. Approfittando del suo esibizionismo un pò clownesco, del suo volersi mettere in mostra a tutti i costi pur di risultare simpatico ai miei occhi e farmi divertire, puntai sulla sua presunta "inaffidabilità" e con un tono che era un ibrido tra lo scherzo e un bonario rimprovero, mi giustificai così :

"Ma non lo vedi che sei un pagliaccio?!"

Le sue risate mi confermarono che avevo dato la risposta giusta...E me ne sentii molto sollevata e fiera.

Comunque, stamattina, lo guardavo e tentavo di farmi coraggio "Ora è il momento di osare! Stavolta ce la fai a presentarti! Adesso glielo dici... che oggi saresti potuta essere sua moglie!".

Naturalmente, la timidezza mi ha fregato anche stavolta. E non gli ho detto niente.

8 commenti:

  1. Questo post,alla luce dei mei pensieri recenti,mi ha dato molto sollievo.Ora so che potrò tranquillamente chiederti in sposa senza rischiare di vedere feriti i miei sentimenti.

    P.S. Non sono particolarmente esibizionista,per me dovrai trovare altre vie d'uscita :))

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  2. Heheheh! Troverei comunque una "via d'uscita" senza rischiare di ferire la tua sensibilità... Per esempio, potrei farti credere di "negarmi" a fin di bene. Tipo: ma hai visto la foto qui alla tua destra? L'hai vista bene? Ti rendi conto di come sono messa? :))
    Certo che se poi insistessi, sarebbe impossibile non apprezzare la nobilità del tuo sentimento, reputandolo un amore raro, incondizionato, totalmente svincolato dalle apparenze...A quel punto, OCCHIO che potrei accettare! ;)
    E mò? :D

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  3. Ma almeno M ti ha riconosciuta?
    Non siete diventati due sposini ma avete condiviso un piccolo tenero magico momento che merita di essere ricordato...come giustamente hai fatto ora con questo post :-)

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  4. Grazie Caigo! ;-)

    p.s. macché...M. non mi ha riconosciuta proprio! che tristessa... :(
    ne devo dedurre che sono un pò invecchiata? :))

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  5. Sempre a Caigo: rileggendo il post, mi sono resa conto che in effetti non risulta molto chiaro...Volevo spiegarmi meglio! Lui non lo sa proprio chi sia io. Dai tempi dell'asilo mi è capitato di rivederlo pochissime volte, e già in età adulta. Io sapevo che era M. perché mi è stato detto da qualcuno (altrimenti non lo avrei riconosciuto neanche io). Non so nemmeno se lui conserva qualche ricordo di quella nostra tenera amicizia...e, anche se fosse, non associa di certo quella bambina alla mia persona...a meno che non trovi il coraggio di dirglielo un giorno! :)

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  6. Il profilo dell’educazione primaria svolta in ambito cattolico dalle suore negli asili è un tema pregnante. Quello che racconti è ampiamente condiviso per molti aspetti da tanti di noi che abbiamo vissuto l’esperienza dall’interno. Faccio parte della schiera dei fortunati che hanno trascorso solo poche settimane d’asilo con suore dai paramenti bianchi. Salvo poi ritrovarmi alle elementari e per tre anni con suore integralmente nere. Fu una reclusione. Una scuola del crimine, un aperitivo del riformatorio che era a cento metri di distanza e in cui diversi compagni transitarono. In una città molto difficile. Svantaggiato per l’età precoce (prima a cinque anni) la corporatura gracile e la mancanza di aggressività, imparai soprattutto a non sapere. L’unica difesa funzionante allo stesso tempo con alunni e suore era non essere al corrente. In caso contrario ciascuna delle due categorie aveva gioco facile nell’estorcere la delazione. I compagni più grandi ruotavano l’avambraccio, manovra che non lasciava segni. Le suore minacciavano di trattenere a scuola nottetempo. Prevalse sempre questa seconda intimidazione.
    Il post è molto ricco e pone diverse questioni complesse anche se ben collegate. Potenza adesiva della narrazione. Una di queste è l’empatia, di cui senz’altro conosciamo meglio il fondamento neurologico, la predisposizione di cui siamo dotati. Certo, esiste, ma non è del tutto innata. In realtà, pur nascendo con un certo corredo, in parte condiviso con la specie e in parte individualmente ‘remixato’, tutto ciò che siamo è appreso. Quello che giova tener presente è che molto di questo apprendimento è inconscio. Non lo ricordiamo e tuttavia abbiamo assorbito modelli vivendo affetti e relazioni primarie. Altra componente scivolosa è la ricostruzione dei ricordi. Le foto del passato sono nitide, più sono antiche e meglio resistono all’oblio. E tuttavia non sono immuni dalla ricostruzione critica che se ne fa alla luce della coscienza. Nell’essere umano la memoria non è neutra, non conosce l’obiettività documentale in cui solo il supporto può deteriorarsi. E’ terribilmente parziale, soggettiva, non cieca ma occhialuta. Non possiamo conoscere in senso assoluto, né il mondo esterno, né per questa stessa ragione il modo in cui lo percepiamo. Siamo telecamere imperfette. Ma talmente sofisticate che non si lasciano conoscere. De-finire. E’ per questo che nonostante le crisi le involuzioni e le catastrifi non ci siamo estinti. E’ il margine di curiosità residua e ineludibile che ci spinge avanti e ci tiene a galla. E naufragar c’è dolce in questo mare.
    Santo cielo l’ho fatta lunga, perdono…

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  7. Soundsetting: sono contenta, invece, che tu l'abbia fatta lunga. Ho apprezzato molto la tua testimonianza. La "mancanza di aggressività", con le conseguenze che essa comporta, è una delle cose che più mi ha colpito...E' qualcosa che condividiamo (mi piacerebbe approfondire questo argomento, probabilmente lo farò). Trovo molto interessante, e profonda, anche la tua riflessione sull'apprendimento inconscio e sulla "rielaborazione" soggettiva, o non-neutralità, dei ricordi...Grazie.

    Caigo: figurati! ;-)

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