lunedì 28 dicembre 2009

Ho faticato non poco a svegliarmi stamattina. Il cervello era stanco e non rispondeva ai comandi della mia coscienza che mi intimava di alzarmi. Quando apro gli occhi con questa sensazione di totale obnubilamento, di solito è perchè la mia attività onirica notturna è stata particolarmente intensa. Quello che mi fa rabbia, però, è che quasi mai ricordo i miei sogni. Precludendomi così la possibilità di analizzarli e scoprire qualcosa in più di me stessa. Mi alzo con la consapevolezza di non aver fatto altro che sognare, eppure nulla sembro aver trattenuto di quelle esperienze. Se non un'immane stanchezza, appunto. Invece, stamani, è riaffiorata in tutto il suo tangibile spessore l'angoscia provata durante l'attesa dell'esecuzione di mia madre. Perché proprio lei fosse dinanzi al patibolo, non saprei dirlo. Nel sogno, però, non mi sembrava affatto strano. Lo davo per scontato. Ero disperata, certo. Ma non incredula. E neanche lei. Nemmeno un tentativo per risparmiarle quel tragico epilogo. Solo rassegnazione e abbracci e baci e lacrime ed esternazioni di immenso amore reciproco. E quell'attesa che non aveva mai fine. L'intero sogno si è configurato come attesa della morte in quanto separazione definitiva. Ciò è servito da tragico sprone a confessarci le cose che non ci siamo mai dette fino ad ora. Non ricordo il momento dell'esecuzione. Forse perché nel sogno non è mai arrivato. I pochi sogni che mi capita di trattenere, in effetti, hanno per lo più a che fare con separazioni traumatiche dalle persone che amo. In questo niente di strano. E, nella fattispecie, non è la prima volta che mia madre muore di morte violenta nei miei incubi. Ne ricordo ancora oggi uno che risale alla mia prima infanzia, in cui le era stata misteriosamente recisa la testa, ma lei, incredibilmente, non era ancora morta e continuava a parlarmi, addirittura cercando di tranquillizarmi. Però, perché stanotte proprio mia madre di fronte al boia? Troppo inquietante. Poi, ad un tratto, mi sono venute in mente le ultime pagine che ieri sera mi hanno traghettato dalla veglia alle braccia di Morfeo. E tale presa di coscienza ha tolto una buona parte di mistero al mio sogno. Leggevo di Jeanne Becu, più conosciuta come Madame du Barry. La favorita di Luigi XV che sostituì nel cuore e nel letto del sovrano la frigida Reinette de Pompadour (delusione, eh? quando si pensa a Madame de Pompadour - sarà anche per via del nome vagamente onomatopeico, per così dire - ci si materializza l'idea della lussuria fatta donna e, invece, fu femmina assai poco passionale, nonché di salute cagionevole, e il rapporto che la unì al re fu più di natura affettiva e cerebrale che sensuale). Jeanne, al contrario, passionale lo era per davvero. Ed incarnò meglio di chiunque altra il concetto di "amantità". Ottenne dalla sua condizione di puttana ufficiale del re i privilegi massimi a cui una favorita potesse aspirare. Ebbe solo la sventura di ottenerli nel periodo sbagliato, alla vigilia della Rivoluzione. E ci rimise la testa. Ricordo di essermi addormentata proprio mentre ero intenta a prendere in considerazione i vari modi in cui gli esseri umani affrontano il patibolo. Mi chiedevo come reagirei io. Con la compostezza regale di Maria Antonietta che non fece una piega e, quasi altèra, porse il suo bel collo candido alla fredda lama (come auspico)? O abbandonandomi ad un contegno indecoroso costellato di urla e strepiti e inutili tentativi di fuga come la du Barry che, oltremodo patetica, arrivò al punto di implorare il Signor Boia - il famoso Samson - di non farle del male? "Grace, grace, monsieur le bourreau!".
(mia madre, ovviamente, ha affrontato la prova da vera regina. con dignità estrema, incurante del boia e della morte di per sé. il suo dolore consisteva esclusivamente nella consapevolezza di doversi congedare per sempre da chi ama, pertanto è solo nel congedo che si è concentrata, centrando l'obiettivo di non lasciare nulla di non detto o di inespresso).

Nessun commento:

Posta un commento